sabato 3 aprile 2010

Sul discorso ai Kalamas

Kalam sutta, aiutaci!

Di Buddhadasa Bhikkhu


Tutto il mondo oggi, incluso i Tailandesi, si trova nella stessa situazione in cui si trovava il popolo Kalama, della regione Indiana del Kesaputtanigama al tempo di Buddha. Il loro villaggio era stato visitato da molti maestri religiosi. Ogni maestro aveva insegnato che la loro dottrina era la sola verità, e che tutti gli altri che erano venuti prima o dopo di lui non portavano la verità. I Kalamas non riuscivano a decidere quale dottrina accettare e seguire. Una volta il Buddha passò dal loro villaggio e i Kalamas gli posero il loro problema di non sapere quale maestro credere. Così il Buddha gli insegnò quello che adesso conosciamo come il Kalama Sutta, che esamineremo qui. Oggigiorno, la gente può studiare molti approcci diversi per lo sviluppo economico, sociale e tecnologico. Le università insegnano praticamente tutte le discipline. E per quanto riguarda la spiritualità, soltanto qui in Tailandia abbiamo una varietà di insegnanti e di interpretazioni degli insegnamenti del Buddha e così tanti centri di meditazione che nessuno sa quale accettare o quale pratica seguire. Quindi potremmo dire che siamo cascati nella stessa posizione in cui si trovavano i Kalamas. Il Buddha insegnò a loro, e a noi, di non accettare o credere immediatamente a qualsiasi cosa. Egli dette dieci condizioni di base per metterci in guardia ed evitare di diventare gli schiavi intellettuali di chiunque, anche del Buddha stesso. Questo principio ci dà modo di sapere come essere capaci di scegliere gli insegnamenti che veramente placheranno la sofferenza (dukkha). I dieci esempi che il Buddha dette nel Kalama Sutta sono i seguenti:
MA ANAUSSAVENA: non accettare e non credere solo perché qualcosa è stato detto e ripetuto negli anni. Tale credulità è una caratteristica delle persone senza cervello, delle “teste di segatura” come quelli che a Bangkok una volta credevano che ci sarebbero stati disastri per le persone nate nell’anno “ma” (negli anni in cui si usava il calendario tradizionale Thai di dodici mesi , quelli dal quinto all’ottavo iniziavano per “ma”, ovvero piccolo serpente, grande serpente, cavallo e capra).
MA PARAMPARAYA: non accettare e non credere soltanto perché una pratica è diventata la tradizione. Le persone tendono ad imitare quello che gli altri fanno e così diventa abitudine, come nella storia del coniglio spaventato da un frutto che cadde dall’albero. Gli altri animali lo videro correre a tale velocità e così impaurito che anche loro si misero a correre con la stessa foga. Molti inciampando caddero e si ruppero il collo o caddero giù dal dirupo e morirono. Qualsiasi pratica vipassana che è costruita nella limitazione degli altri, come pura tradizione, porta a simili risultati.
MA ITIKIRAYA: non accettare e non credere soltanto perché qualcuno ha sentito dire e lo divulga, non importa se è nel villaggio o a livello mondiale. Solo gli stolti sono suscettibili a delle dicerie, perché si rifiutano di usare la loro intelligenza.
MA PITAKASAMPADANENA: non accettare e non credere solo perché è citato in un “pitaka”. Questa parola è usata nelle scritture Buddiste e significa scritto o inciso su qualsiasi materiale per scrittura. Gli insegnamenti memorizzati che vengono tramandati oralmente non devono essere confusi con pitaka.I Pitaka sono delle cose condizionate che sono sotto il controllo dell’umanità. Possono essere create, migliorate e variate dalla mano dell’uomo, ed è per questa ragione che non possiamo credere ad ogni lettera e parola scritta in esse. Dobbiamo usare i nostri poteri di discriminazione per capire come applicare quelle parole per placare la sofferenza. Le varie scuole di Buddismo hanno ognuna i propri canoni che pure presentano delle discrepanze.
MA TAKKAHETU: non accettare o credere soltanto perché qualcosa rientra nel ragionamento logico (takka). Questo è solamente un ramo di studio usato per comprendere la verità. Takka, o ciò che chiamiamo “logica”, può sbagliare, se i suoi dati o i metodi sono incorretti.
MA NAYAHETU: non credere soltanto perché qualcosa è corretto solamente secondo i canoni del naya (ragionamento deduttivo e induttivo). Oggi naya viene chiamato “filosofia”. In Tailandia traduciamo la parola “filosofia” con la parola “prajna”, non accettata in India perché “naya” è soltanto un punto di vista. Loro lo identificano con un ramo di pensiero che ragiona sulle basi della supposizione o delle ipotesi, che non è la saggezza più alta o assoluta, che essi chiamano “panna” o “prajna” naya o nyaya. Può essere incorretto se il pensiero o le scelte di supposizioni sono inappropriate.
MA AKARAPARIVITAKKENA: non credere o accettare soltanto perché qualcosa fa leva sul buon senso; questo non fa altro che sciorinare giudizi basati sulle proprie tendenze di pensiero. A noi piace così tanto usare questo approccio, che diventa abitudine. I filosofi arroganti fanno ampio uso di questo metodo e lo considerano parecchio efficace.
MA DITTHINIJJHANAKKHANTIYA: non credere solamente perché qualcosa è contro o a favore delle opinioni e teorie formate dal preconcetto. I punti di vista personali potrebbero essere errati, oppure i nostri metodi di sperimentazione e verifica potrebbero essere incorretti, e quindi non porterebbero alla verità. Accettare quello che si accorda alle nostre teorie potrebbe sembrare un approccio scientifico, ma in realtà non potrà mai esserlo, perché i test e gli esperimenti sono inadeguati.
MA BHABBARUPATAYA: non credere soltanto perché chi parla sembra credibile. Le apparenze esteriori e la conoscenza dentro una persona non saranno mai uguali. Spesso, gli oratori che sembrano apparentemente credibili dall’esterno dicono cose incorrette e insensate. Oggigiorno, dobbiamo guardarci dai computer perché i programmatori che vi introducono i dati e li manipolano possono immettere le informazioni sbagliate o usarli scorrettamente. Non idolatrate così tanto i computer, perché è contro il principio del Kalama Sutta.
MA SAMANO NO GARU TI: non credere solo perché il samana o predicatore, l’oratore, è il ‘nostro maestro’. L’esortazione del Buddha riguardo questo punto importante è di non diventare gli schiavi intellettuali di nessuno, neanche del Buddha stesso. Il Buddha ha sottolineato spesso questo punto importante, e ci sono stati discepoli, come il venerabile Sariputta, che hanno confermato questa pratica. Non credevano mai immediatamente alle parole del Buddha quando le sentivano, ma iniziavano a crederci solo dopo un adeguata considerazione dei consigli dati, e solo dopo aver testato quanto detto nella pratica. Usate il vostro discernimento, anche se c’è un altro maestro religioso nel mondo che ha dato ai suoi discepoli e agli ascoltatori la più grande libertà. Per questo nel Buddismo non esiste un sistema dogmatico, non esiste pressione nel credere senza il diritto di aver prima esaminato e deciso per se stessi. Questa è la qualità più grande e più speciale del Buddismo, che fa si che chi lo pratica non sia lo schiavo intellettuale di nessuno, come spiegato precedentemente. Noi Tailandesi non dovremo volontariamente seguire l’Occidente come stiamo facendo oggi. Meglio tenere la libertà intellettuale e spirituale. I dieci esempi del Kalama Sutta sono una sicura difesa contro la dipendenza intellettuale e contro il non essere noi stessi; cioè, se non usiamo la nostra intelligenza e saggezza per interpretare ciò che si sente e che si ascolta, ovvero il Dhamma nel linguaggio paratoghosa (“il suono degli altri”). Qualsiasi cosa ascoltiamo, dovremmo scrutare ponderarlo con attenzione. Se c’è una ragione per credere in quello che abbiamo sentito, e se ciò poi va veramente a placare la sofferenza, allora potremmo davvero crederci al 100 per 100. Il principio del Kalama Sutta è appropriato per chiunque, ovunque, in ogni era, in ogni mondo, anche per il mondo dei devas (dei). Al giorno d’oggi il mondo è ridotto da una comunicazione esemplare: le informazioni si possono scambiare facilmente e rapidamente. Tutti possono ricevere nuova conoscenza da ogni direzione e angolo della terra. E mentre questo succede, non si sa più a cosa credere, quindi ci troviamo nella stessa posizione dei Kalamas. E’ vero però che é il Kalama Sutta che darà rifugio. Gli va data la giusta attenzione e lo studio che si merita. E’ stata una grande fortuna che il Budda abbia insegnato il Kalama Sutta, è un regalo per tutte le persone del mondo. Solo coloro che sono estremamente stupidi saranno incapaci di trarre beneficio da questo consiglio del Budda.Il Kalama Sutta è stato fatto per essere usato da persone di ogni età. Ogni bambino può applicare i suoi principi per essere bambini del risveglio (bodhi) invece di essere bambini dell’ignoranza (avijja). I genitori dovrebbero insegnare e far esercitare i loro bambini a imparare a capire le parole e le istruzioni che ricevono, per capire come le parole possono essere ragionate e che ciò che esprimono darà un risultato. Quando i genitori danno istruzioni, i figli dovrebbero capire e rendersi conto del beneficio di praticare quello che gli viene detto di fare. Ad esempio, quando si dice a un ragazzo di non usare eroina, quel ragazzo dovrebbe crederci non soltanto per paura, ma perché avendo visto i risultati dell’uso di eroina, saranno quelli che temerà e che gli faranno rifiutare la droga da solo. Nessun articolo nel Kalama Sutta afferma che i bambini dovrebbero credere a chiunque o che non dovrebbero ascoltare nessuno. Tutti gli articoli affermano che i bambini e chiunque altro dovrebbero ascoltare e credere solo dopo aver riscontrato il vero significato e i vantaggi che riceveranno da tali credenze e dalla loro pratica. Quanto un maestro insegna qualcosa, dovrebbe far si che i bambini vedano la ragione che sta dietro all’insegnamento in modo che i bambini non diventino ostinati. Ai i bambini ostinati, offrite gentilmente un poco del bastone e lasciate che riflettano. I bambini capiranno il principio del Kalama Sutta man mano che crescono. Completeranno da soli tutti i dieci articoli e man mano diventeranno adulti maturi se li tiriamo su con questi standard.

Ringrazio pubblicamente il traduttore italiano per la cortesia e l generosità.
U.D.

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